Tutti sanno che una cosa è impossibile finché non arriva uno che non lo sa e la fa.

Anonimo

 

Sicuramente avete sentito la notizia al TG, Filippo Tortu è il primo italiano ad essere sceso sotto il muro dei 10" nei 100 mt piani. Ma se  non seguite l'atletica  - un po' opaca per noi Italiani in questi ultimi anni - forse non avete dato molto peso alla notizia.
Ma c'è una bellezza intrinseca in questo record.


Sono pochi i bianchi scesi sotto i 10” e Filippo ha infranto il precedente record italiano di Mennea.
Ve lo ricordate Mennea? Un fisico magrolino per niente atletico…. Una corsa leggera, però efficacissima.

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Filippo, come Mennea,  lavora sulla sottrazione.

Il papà-allenatore è andato coraggiosamente controcorrente rispetto alle idee dominanti rifiutando  il concetto di allenamento in sala pesi, facendo un semplice e per niente nuovo ragionamento: se metti su massa muscolare, poi quella massa te la devi portare appresso e se il tuo scopo è rosicchiare centesimi di secondo sui 100mt, può essere controproducente. 

La forza non ha a che fare con la massa (beh, non solo per lo meno)

Ovviamente la forza serve, ma non c’è un solo modo di svilupparla e sembra che il suo preparatore atletico, Flavio di Giorgio, si sia specializzato in tecniche alternative ai pesi, pochi carichi e tante ripetizioni ad alta velocità.

Uno dei concetti errati che sta dominando quasi tutti gli sport ma che  si trova anche in ambito medico e fisioterapico, è che lavorando sul rinforzo, si risolve tutto.
E’ un approccio che non riguarda solo lo sport ma è ancora usato tanto per il mal di schiena, per l’artrosi del ginocchio, e tante altre cose.

Ma il concetto è errato alla radice: non è la forza che determina il nostro modo di muoverci, ma è il nostro modo di muoverci che determina la nostra forza.

Se abbiamo imparato a correre in un certo modo, avremmo sviluppato più certi muscoli e meno altri.
L'ortopedico o il fisioterapista dopo una batteria di test, troveranno i muscoli deboli e la soluzione proposta sarà: un programma di rinforzo dei muscoli deboli che causano asimmetrie e squilibri e di stretching di quelli accorciati.

Rinforzare i muscoli cosiddetti deboli in palestra non servirà a molto, perché una volta tornata in pista, la persona tornerà a correre nello stesso modo di prima, cioè usando alcuni muscoli tanto e altri niente, quindi provocando uno squilibrio tra muscoli deboli e muscoli forti.

Questa è una delle ragioni per cui i corridori con problemi cronici ai flessori dell'anca o alla bandelletta ileo-tibiale  vanno dal fisioterapista, migliorano per qualche mese e poi ricadono nello stesso problema e tornano dal fisioterapista all’infinito.

Qualche mese fa un grande sito sulla salute mi ha chiesto di fare la revisione di alcuni articoli da pubblicare. Ho accettato entusiasta e aspettato con ansia il primo articolo.

Quando è arrivato, la delusione... l'articolo, progettato forse per invogliare le palestre a pagare per apparire nella pagina, diceva di quanto fosse assolutamente indispensabile per ogni runner fare  pesi in palestra per rinforzare i muscoli deboli e stretching per l'allungamento.
(sei nuovo su questo blog? puoi vedere qui cosa penso dello stretching)

Nessuna parola spesa per parlare di schemi motori, coordinazione, efficienza del gesto, propriocezione. 

La mia lettera di spiegazioni su come migliorare l'articolo e su come promuovere salute e prestazioni di chi corre, non ha nemmeno avuto una risposta. 

Peccato, era un sito di rilevanza nazionale, ma proprio non me la sono sentita.

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Correre con i muscoli rilassati

Una delle dichiarazioni di Filippo post gara è stata: bisogna correre con i muscoli rilassati!!!

(come può un’insegnante
Feldenkrais non apprezzare questo ragazzo?)

Da Florence Griffith e Ben Johnson in poi, ci siamo abituati a sprinter di origine africana super-muscolosi.

Florence Griffith velocista statunitense

ben johnson velocista

Ben Johnson velocista canadese di origine giamaicana

Ma, dato  che hanno vinto tantissimo, non si può dire che non funzioni (in effetti bisogna anche dire che molti hanno avuto qualche problemino di doping).

Tuttavia la verità probabilmente è che non esiste un unico modo e un unica ricetta.


Chissà, può darsi per gli europei bianchi questa ricetta non funzioni.


Comunque non si tratta solo di cambiare l’allenamento della forza, Filippo Tortu ha puntato alla qualità, con poche gare e un lavoro preciso ed ossessivo  sulla tecnica di corsa, che in altre parole, significa traiettorie, coordinazione ed organizzazione dei segmenti corporei.

Ma questo lavoro sulla tecnica si può fare solo a una condizione, se si ha il dono di percepire se stessi nell’azione (altrimenti come fai a correggerti?) e sembra che Filippo sia proprio bravo in questo.

E' facile dire di sottrarre, togliere e fare meno, sicuramente nel caso di Mennea e Filippo c’è anche tanto tanto talento, predisposizione e duro lavoro, ma il loro stile di corsa ci può insegnare qualcosa, nell’allenamento e nella vita.

Cosa possiamo imparare da un giovane corridore

  • Non c'è una ricetta valida per tutti. Copiare quello che fanno gli altri perché  sugli altri sembra funzionare non è sempre una buona idea. Vale per la corsa, per le scelte di salute e per tutto il resto. Bisogna cercare quello che è meglio per noi in quel dato momento della nostra vita.

  • Bisogna cercare quello che è meglio per noi in quel dato momento della nostra vita.

  • Stare con i muscoli rilassati cioè eliminare lo sforzo inutile (non tutto lo sforzo, solo quello inutile).
    Essere completamente rilassato, significa essere come una medusa, farsi trasportare dalle correnti. Non vogliamo davvero essere completamente rilassati.
    Correre (o agire) con i muscoli rilassati, invece, significa lasciar stare i muscoli che non servono in quel momento. Altro che medusa!
    Significa saper  inibire quello che non serve e usare l’energia solo dove e come serve.  
    Allora avremo la sensazione di muoverci senza sforzo, in maniera fluida e facile. Quando le cose vengono senza sforzo, nel movimento, nelle relazioni, nel lavoro e nello studio, allora sappiamo di essere sulla strada giusta. 

  • Qualità contro quantità. Scegliere accuratamente quando e  come vale la pena di spendere le energie. Fare troppe battaglie, vere o metaforiche, può voler dire perdere la guerra, disperdere energie preziose e trovarsi sfiniti con un pugno di mosche in mano.
    In una lezione di Feldenkrais, in pista e anche nella vita, è bene imparare a dosare attentamente le energie per arrivare all’obbiettivo finale. Ci vuole consapevolezza, visione e pazienza!

  • Percepirsi. E' così che Filippo è riuscito a lavorare sulla tecnica, affinando i gesti anche nei minimi dettagli. Vuol dire: sapere dove si è  e cosa si sta facendo. Sembra banale, ma passiamo la maggior parte del nostro tempo totalmente sconnessi dal nostro corpo e di fatto spesso non sappiamo dove è (questo è uno dei motivi per cui alcune persone cadono spesso).
    Se vogliamo raggiungere tutte le nostre potenzialità, è necessario sviluppare la capacità di sentirsi, di sapere dove siamo, fisicamente (la propriocezione), psicologicamente ed anche emotivamente. 

Vincere sottraendo

Sottrarre, fare meno, sentirsi, fare poco ma bene, sono concetti noti, ma in realtà, nella pratica sono difficili da accettare e rimangono belle parole sui post motivazionali di Facebook.

Sotto sotto, comunque, continuiamo ad ammirare chi ci dà eroici esempi di abnegazione, stoicismo, sofferenza silenziosa. Finire una maratona con un metatarso rotto oppure finire la propria carriera sportiva completamente rotti e malati crea ancora molto fascino e ammirazione.
 
Invece è ora di capire che andare all'essenziale,  fare meno ma meglio nello sport, nel lavoro, nello studio, perfino nell'alimentazione, è un  concetto chiave che ci può portare ad alti livelli di prestazioni e risultati, anche in settori molto competitivi e Filippo ha dimostrato che andare controcorrente, paga!  

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