Feldenkrais e salute mentale

Qualche giorno fa ho fatto una diretta su zoom di domande e risposte sui corsi. 

Fin qui, nulla di strano, ma è emerso un tema estremamente importante e interessante.  

Un paio di partecipanti hanno colto l’occasione per dire quanto le lezioni della quarantena e quelle del post-quarantena siano state utili per uscire dallo stato di
letargo che, purtroppo, ha preso alcuni di noi in questa esperienza forte e traumatica. 

La pandemia - esperienza eccezionale nelle nostre vite

Nel caso siate scettici, sappiate che esperienze come quella di un'emergenza sanitaria globale, dal punto di vista della salute mentale sono paragonabili alla guerra, all’emigrazione forzata, al terremoto, all’alluvione, etc.

Insomma ad eventi catastrofici collettivi con un grande potenziale nel generare un trauma e intaccare la nostra salute mentale oltre a quella fisica.

Anche se apparentemente tutto intorno a noi sembra normale, un giorno diremo: "noi abbiamo vissuto il Covid", come i nostri nonni ci raccontavano della guerra.

Ogni evento catastrofico ha le sue specificità

La particolarità di un virus è che:

1. E' un
nemico invisibile che non riusciamo a vedere o sentire e quindi a localizzare.

2. Non sappiamo
quando finirà.

Una cosa fondamentale per la pace del nostro sistema nervoso è essere orientati nel tempo e nello spazio. 
Due cose difficili in questo momento, perché fronteggiamo una minaccia invisibile e ancora non c'è una cura definitiva.

I vantaggi di una pandemia nell'era social

E’ vero che, in questo caso, la maggior parte di noi ha potuto trovare rifugio a casa.
Siamo stati  al calduccio con Internet che ci teneva collegati e ci intratteneva.
La maggior parte di noi ha avuto a disposizione del cibo (pure troppo), ha potuto fare shopping, ha mantenuto relazioni sociali su zoom, etc. 

Tuttavia queste cose hanno solo
mitigato gli effetti drammatici di un’esperienza troppo intensa, non li hanno certo cancellati.

La sindrome della capanna

Verso la fine del confinamento si è cominciato a parlare di sindrome della capanna, difficoltà ad uscire e poca motivazione a riprendere una vita “normale” o per meglio dire con una nuova e difficile normalità. 

Come dice la mia amica Grazia: "Era più facile rimanere in una casa calda e piena di cibo."
La sindrome della capanna può  essere solo una resistenza a tornare all’esterno, bisogno di tempo per riadattarsi ai ritmi, riscoperta della casa e della relazioni familiari, non c’è nulla di male.

Ma può anche nascondere qualcosa di più subdolo, di più simile alla depressione e cioè:

  1. 1
    Difficoltà ad agire
  2. 2
    Mancanza di motivazione per uscire
  3. 3
    Mancanza di motivazione per lavorare
  4. 4
    Desiderio di isolamento sociale
  5. 5
    Difficoltà a mangiare

Non tutti reagiamo allo stesso modo

Alcune persone non sono stata  minimamente intaccate dalla sindrome della capanna e, anzi, appena possibile si sono riversati all’esterno in un vortice di jogging, palestra, aperitivi, cene sui terrazzi, concerti.

La maggior parte è probabilmente riuscita a superare gradualmente e da sola questa situazione, ma per alcuni è stato più difficile.

Per questo mi ha fatto enormemente piacere che un paio di persone si siano collegate per dire che le lezioni online li avevano aiutati ad uscire da questo stato.

E non solo, mi hanno dato il là per poterne parlare apertamente.

Sono convinta da anni che è necessario cominciare a parlare apertamente e senza imbarazzi della nostra salute mentale così come parliamo della nostra sciatica o dell’osteoporosi.

Sì perché salute mentale non significa solo malattie psichiatriche come schizofrenia o dissociazione, i disturbi alimentari, lo stress cronico post-traumatico, ma più in generale riguarda disturbi di cui almeno una volta soffriamo quasi tutti e tutte, cioè ansia e depressione.

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Definizione di Salute Mentale del Organizzazione Mondiale della Sanità

Un estratto dal piano d'azione Oms sulla salute mentale (metto il link in fondo)

[...] la salute mentale, definita come uno stato di benessere in cui una persona può realizzarsi a partire dalla proprie capacità, affrontare lo stress della vita di ogni giorno, lavorare in maniera produttiva e contribuire alla vita della sua comunità.
Per quanto riguarda i bambini, un’attenzione particolare è data agli aspetti di sviluppo, per esempio al fatto di acquisire un sentimento di identità positivo, alla capacità di gestire i propri pensieri, le proprie emozioni, e di riuscire a creare dei rapporti sociali, oltre ad avere l’attitudine ad imparare ed istruirsi, in definitiva permettendo loro una partecipazione a pieno titolo alla vita sociale.


Interessante no?
La salute mentale dipende dalle capacità di affrontare lo stress e di fare parte della vita di comunità.
Ma entriamo nello specifico, ancora dalla stessa fonte:

I determinanti della salute mentale e dei disturbi mentali includono non solo attributi individuali quali la capacità di gestire i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri comportamenti e le relazioni con gli altri, ma anche fattori sociali, culturali, economici, politici ed ambientali, tra cui le politiche adottate a livello nazionale, la protezione sociale, lo standard di vita, le condizioni lavorative ed il supporto sociale offerto dalla comunità.


L’esposizione alle avversità sin dalla tenera età rappresenta un fattore di rischio per disturbi mentali ormai riconosciuto e che si può prevenire.



Significa che la salute mentale è determinata da un mix di:

  1. 1
    Capacità personali (gestire pensieri, emozioni, comportamenti)
  2. 2
    Fattori esterni di natura sociale, politica, culturale

Evviva! Non è sempre colpa nostra!

La salute mentale è un mix di fattori, se alcuni dipendono da noi, alcuni sono del tutto esterni.

Non mi piace pensare che una persona è sempre responsabile di tutto e in grado di gestire tutto se solo lo volesse veramente (non è per niente così),
ma non amo nemmeno la posizione del tutto ideologica per cui il disagio mentale viene da una società malata.

I fattori esterni fanno la loro parte come quelli individuali.
Alcuni esempi, sempre presi dall'OMS:

  1. 1
    non avere sicurezza finanziaria, una casa, vivere in un paese dove non ci sono politiche di sostegno al reddito,
  2. 2
    far parte di una minoranza come essere gay in Bielorussia o nero negli Stati Uniti d'America,
  3. 3
    essere anziani in condizione di bisogno e non  avere supporto dei servizi sociali,
  4. 4
    aver vissuto avversità infantili come l'orfanotrofio,
  5. 5
    non avere nemmeno una relazione solida di attaccamento, cioè la solitudine.

In presenza di uno o più di questi requisiti, diventiamo candidati per episodi di disagio mentale.
Ma al di là di una diagnosi vera e propria che non è l'argomento di questo articolo, 

tutti abbiamo più o meno dei periodi di fragilità a cui reagiamo andando verso una chiusura parziale o totale, oppure verso una sorta di iperattività che ci impedisce di soffermarci a sentire come stiamo veramente.

Tra i due stati, quello del letargo e quello dell’iperattività, quello più insidioso e pericoloso è proprio quello del letargo.

Letargo contro iperattività

Ne ho accennato diverse volte durante le lezioni delle quarantena.

Noi siamo mammiferi, animali ad alto consumo di ossigeno, siamo fatti per muoverci, i nostri muscoli ce lo richiedono, il nostro cervello è nato per il movimento. 

L’immobilità, che è una strategia tipica dei rettili non fa al caso nostro ed anche se può essere molto efficace nel garantire la sopravvivenza, è un po' più difficile fare dei passi per uscirne.

Tuttavia, a parte l'iniziale comodità di stare in un bozzolo,
vivere al minimo è molto diverso dal vivere una vita piena e soddisfacente.

Per chi si trova in questa situazione l’approccio deve essere serio e multidisciplinare. 

Può contemplare l’aiuto di un professionista (psicologo e/o psichiatra) e anche un aiuto farmacologico (non c’è niente di male, purché si eviti di farlo diventare una costante).

Per fortuna, però, ci sono anche strategie meno invasive da affiancare a quelle più classiche.

Le strategie alternative per combattere ansia e depressione

Numerosi studi hanno evidenziato che molte attività, dal guardare il mare ad abbracciare gli alberi posso aiutare a risollevare il nostro spirito.

Ma più di tutti, l’esercizio fisico si è dimostrato  un valido aiuto nei casi di depressione.

Il nostro cervello è nato per muoversi, il nostro corpo è nato per muoversi, il movimento non ci può fare che bene (a meno che non ci sia una frattura o altro infortunio e il medico, giustamente, raccomanda di aspettare)

Tralascio, perché sennò diventa lunghissimo, i benefici a livello biochimico di tutte le sostanze “buone” che il nostro corpo produce con l’esercizio fisico e che ci fanno benissimo, prime tra tutte le endorfine.

C’è solo un problema, se sei depresso e non ti alzi dal letto, come fai a fare esercizio fisico?

Hai mai avuto un'amica o un amico che stava un po' giù e hai provato a tirarla fuori di casa?
E’ già difficile convincere una persona depressa ad uscire per due passi in compagnia, figuriamoci a sudare.

In casi del genere non si può chiedere alle persone di mettersi il completino di aerobica e fare step, ma è necessario offrire loro delle proposte che il loro sistema può accettare. 


Ecco che:

  1. 1
    movimenti piccoli,
  2. 2
    lentezza d'esecuzione,
  3. 3
    piccole quantità, (la lezione non deve essere necessariamente di un'ora)
  4. 4
    presa di coscienza dei cambiamenti nel corpo,

aiutano il sistema a rimettersi in sesto.
Per ricominciare a riaprirsi alla vita a piccole dosi.

La vita è movimento.
Migliora il movimento e avrai migliorato la qualità della vita.

(parafrasata da Moshe Feldenkrais)

La lezione feldenkrais, una sequenza strutturata

Vorrei passare in rassegna alcuni dei "perché" la lezione feldenkrais funziona in questi casi: 

  • mette in moto il corpo con lentezza e basso consumo di energia, quella a disposizione di una persona depressa (così non ci si sente sfiniti e svuotati dopo),
  • utilizza l’attenzione focalizzata (come alcune tecniche di meditazione),
  • riporta consapevolezza ai confini di sé (fondamentale in tutti i disturbi dove di solito, si perde il contatto con il corpo, ci sente senza pelle, esposti, ipersensibili o iposensibili,
  • senso di contenimento e sicurezza (altra cosa collegata al tema dei confini, che si perde facilmente negli stati depressivi e ansiosi),
  • da senso di autoefficacia (anche questo di solito mancante nelle persone depresse)

Alcuni "bonus" che vengono con le lezioni di Moshe Feldenkrais

Nei momenti di fragilità, abbiamo più bisogno di sentirci accolti senza giudizio e di formare alleanza terapeutica con la persona che ci segue. 

Una delle cose che allontana le persone che più avrebbero bisogno, è trovarsi di fronte un coach, un'insegnante, una fisioterapista, ma anche uno psicologo (ancora peggio) che non comprende le loro esigenze e che li vuole incasellare in un modello pre-ordinato, in un etichetta di patologia, in un protocollo di cura.

Dall'incontro con il metodo Feldenkrais e Somatic Experiencing (il lavoro di Peter Levine) ho sviluppato uno stile di insegnamento dove la relazione con l'altro è il punto centrale (e la sequenza dei movimenti è secondaria).

  • Nessuno viene obbligato a conformarsi alla lezione, ma ognuno può adattare la lezione alle sue esigenze. 
  • Nessuno viene spinto, convinto, fatto sentire in colpa perché non fa la lezione come gli altri, perché non si muove come gli altri.
  • Tutti vengono esortati ad andare al proprio ritmo e a fare la quantità che si sentono di fare.

E questo, per una persona che sta vivendo una situazione di disagio, fa tutta la differenza del mondo!

In conclusione

Se hai letto fin qui, grazie. 
Ho una buona notizia. 
Non serve essere depressi o ansiosi per fare le lezioni di Feldenkrais.

Le lezioni sono adatte a chiunque voglia migliorare qualcosa di sé e sono usate in tutto il mondo da artisti, musicisti, danzatori e persone "normali" come me e te, che vogliono semplicemente migliorarsi e vivere una vita più piena. 

La loro bellezza, è che, grazie ad alcune caratteristiche, si adattano perfettamente anche come strumento per superare momenti di fragilità e costruire forza e resilienza per affrontare il presente e il futuro con una prospettiva diversa.

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